lunedì 14 marzo 2011

Marta Herling: "Saviano inventa la storia su Croce"

Marta Herling, nipote di Benedetto Croce, qualche giorno fa ha rilasciato un'intervista al Tg1 in cui parlava di "mistificazione" operata da Roberto Saviano sulla figura di suo nonno in un monologo di "Vieni via con me", poi riportato nel libro omonimo. Il suo "j'accuse" è apparso anche su altri media, ripetendo e sottolineando più volte la presunta malafede dell'autore di Gomorra colpevole, a suo dire, di aver copiato (copiato!) quella storia da internet:«Quella vicenda si trova su un sito web, non è provata e non trova riscontri da nessuna parte - dice la Herling - Saviano l’ha utilizzata come fonte, ma io mi domando: internet può essere una fonte affidabile? Forse Saviano avrebbe fatto meglio a verificare, andandosi a leggere le biografie di Croce e controllando quello che scrisse egli stesso». In particolare, la nipote di Croce parla di "mance e mazzette" in cui Saviano avrebbe fatto rientrare anche le utime parole del padre di Benedetto Croce nei tragici istanti immediatamente seguenti al terremoto avvenuto a Casamicciola (Ischia) nel 1883. Parole riportate da Saviano, appunto, in cui Croce padre avrebbe detto al figlio di offrire 100mila lire (l'equivalente di 300mila euro di oggi) a chi l'avesse salvato.

Puntuale e precisa la risposta di Saviano. Altro che aver preso le informazioni da internet, senza neppure verificarle. Anzi. Ospite al Tg di Enrico Mentana su La7, Saviano porta la fonte precisa e veritiera da cui ha tratto l'incipit del suo monologo sul terremoto dell'Aquila. La fonte, appunto, è un articolo dello sceneggiatore Ugo Pirro, pubblicato il 13 aprile 1950 su Oggi, in cui riporta un vecchio articolo su quell'episodio della vita del filosofo e scrittore italiano. Articolo in cui sono riportate le parole di un giovane Croce, intervistato da un cronista dell'epoca come testimone di quel terremoto che gli aveva portato via l'intera famiglia. Un articolo esistente, "vero" e non trovato qua e là nel web o inventato, come riportato in più parti qualche giorno fa.

«Il mio era un racconto "romantico" sulla figura di Croce - sottolinea Saviano - volevo raccontare questo episodio per dire che il terremoto appartiene alla vita di tutti, anche di un grande come Benedetto Croce. Il padre non offriva "mazzette" e io non ho mai usato questa parola. Quella offerta voleva essere piuttosto un gesto di riconoscenza». Vien da pensare, ed è impossibile non farlo, che a doversi documentare e informare di più sia qualcun altro, e non Saviano.

giovedì 27 gennaio 2011

27 gennaio 2011: per non dimenticare

Sarà che, visto il mio cognome, molto spesso mi è stato chiesto se sono ebrea; sarà che, fin da piccola, ho trovato insegnanti particolarmente sensibili a questo tema -in quarta elementare avevo già letto il Diario di Anna Frank, le Lettere di Louise Jackobson e Se questo è un uomo-; sarà che considero Train de vie uno dei più bei film mai girati. Sarà per questi motivi o per altri ancora, in ogni caso la Shoah mi ha sempre atterrito e sono convinta che continuerà a farlo.
Queste sono, senza dubbio, anche le ragioniche, trovandomi a passare l’ultimo dell’anno a Monaco, mi hanno fatto insistere per andare a visitare il Centro Commemorativo dell’ex campo di concentramento di Dachau.
Passare sotto la scritta Arbeit Macht Frei, entrare nell’edificio all’interno del quale ogni deportato veniva spogliato di tutto ciò che aveva - denaro, ricordi, lettere, vestiti e, soprattutto, la propria identità di esseri umani -, vedere i monumenti alla memoria nel campo, entrare nelle baracche ricostruite e fermarsi davanti alle costruzioni in legno al loro interno - talmente piccole ed ammassate che nessuno oserebbe chiamarle letti -, scrutare i forni crematori non rendendosi conto di ciò che dovevano bruciare fino a quando lo sguardo non cadeva sulle barelle davanti allle aperture dei forni, entrare in una camera a gas, piccola, opprimente, con il soffitto talmente basso da rendere impossibile non soffrire di claustrofobia, visitare il museo del campo e rabbrividire d’orrore guardando scritti, foto e video che ricordano quelle follie…
Tutto per tenere viva la memoria, tutto per non far spegnere la già fievolissima luce che ci impedisce di ripetere uno dei momenti forse più bui della storia contemporanea.  
E’ per tutto questo che riporto qui di seguito alcune testimonianze, per non dimenticare tutto ciò che è successo, e per fare in modo che non accada mai più.

     Altre volte mi hanno chiesto, per esempio, se qualcuno sia mai rimasto vivo nella camera a gas. Era difficilissimo, eppure una volta è rimasta una persona viva. Era un bambino di circa due mesi. All'improvviso, dopo che hanno aperto la porta e messo in funzione i ventilatori per togliere l'odore tremendo del gas e di tutte quelle persone - perché quella morte era molto sofferta - uno di quelli che estraeva i cadaveri ha detto: “Ho sentito un rumore”. (…) Allora uno di noi sale sui corpi per arrivare laddove veniva il rumore e si ferma dove si sente più forte. Va vicino e, insomma, là c'era la mamma che stava allattando questo bambino. La mamma era morta e il bambino era attaccato al seno della mamma.(…)Il bambino era quindi vivo e noi l'abbiamo preso e portato fuori, ma ormai era condannato. C'era l'SS tutto contento: “Portatelo, portatelo”. Come un cacciatore, era contento di poter prendere il suo fucile ad aria compressa, uno sparo alla bocca e il bambino ha fatto la fine della mamma.
Shlomo Venezia, componente del Sonderkommando di Auschwitz-Birkenau

« Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no. »
Primo Levi, deportato ad Auschwitz

Quando sono arrivata ad Auschwitz mi è venuto un colpo, perché sentivo qualcuno che mi chiamava ma non riconoscevo nessuno e poi sento: “Maria, Maria, sono io, non mi riconosci?” Le mie compagne che erano partite prima di me, erano già ridotte a delle larve. Io non le ho riconosciute.
Maria Rudolf, deportata ad Auschwitz

Camminammo per giorni attraverso la Germania, camminavamo soprattutto di notte: città deserte, paesini deserti e le nostre sentinelle implacabili finivano con un colpo di pistola quelle che cadevano. Io non mi voltavo, non mi voltavo a vedere quelle che cadevano, non mi voltavo a vedere la neve sporca di sangue. Io non mi voltavo neanche quando ero nel campo e c’erano i mucchi di cadaveri scomposti fuori dal crematorio pronti per essere bruciati. Io non mi voltavo per guardare le compagne in punizione, io non volevo sapere di torture, di esperimenti, di racconti spaventosi, Io non volevo sapere, io volevo vivere e mi sdoppiavo in un'altra personalità: non ero lì, non ero io quella che faceva la marcia della morte. Ci buttavamo come pazze sugli immondezzai e raccoglievamo bucce di patate, torsoli di cavolo marcio, un osso già rosicchiato dal cane di casa, e ci disputavamo questi orrori io e le mie compagne, le bocche sporche, scheletri orribili.
Liliana Segre, deportata ad Auschwitz-Birkenau

martedì 25 gennaio 2011

What's your facebook?


Il vero fenomeno di tendenza da cui non ci si può sottrarre è Facebook. Non passa giorno che tg e giornali ne parlino, vuoi per la nascita di gruppi incitanti all’odio di ogni tipo o semplicemente “scomodi”, vuoi per i tam-tam che è in grado di innescare, per le identità rubate (l’ultima è stata quella di Sarkozy), o perché assurge al ruolo di nuovo mezzo “sfasciafamiglie”. La notizia è di qualche giorno fa e parte dalla Gran Bretagna, dove nelle ultime cause di divorzio Facebook la fa da padrone: tradimenti scoperti grazie al social network, relazioni virtuali che arrivano a mettere a repentaglio la vita di coppia. Sarebbe scontato però passare ai facili moralismi, condannare in toto una realtà che, come altre che l’hanno preceduta, presenta lati non solo negativi. È ciò che emerge anche dalle parole di un portavoce della società, il quale sostiene essere una sciocchezza condannare Facebook, perché sarebbe come incolpare il cellulare, le mail e tutto ciò che oggigiorno ci consente di essere in contatto con il resto del mondo.

Prima di emettere la sentenza, di condanna o di assoluzione, bisogna provare a riflettere. Parto innanzitutto dalla “mission” che si propone Facebook: favorire la socialità e allargare la cerchia di amicizie dei suoi utenti. Si tratta di una promessa, che ognuno può giudicare da sé se viene mantenuta. I distinguo da fare sarebbero tanti, ma bastano qui due osservazioni: è possibile considerare “amici” (nel senso vero della parola) mille se non più persone? E, a proposito di socialità, un buon metro di misura potrebbe essere quello di verificare quanti dei rapporti di amicizia online continuano poi nella vita reale (tradimenti e infedeltà a parte).

Dal momento poi che non esistono mezzi maligni, ma tutto sta nell’uso che se ne fa, ne deriverebbe un “processo alle intenzioni” di ognuno, in sé impossibile da attuare. E, allora, bisogna partire dai dati.

Massimo Mantellini scrive su L’espresso di questa settimana che, secondo i dati Istat del 2010, il numero di italiani che accede a Internet è cresciuto di oltre 5 punti percentuali rispetto al 2009 (52,4 contro il 47,3 per cento). Parallelamente è però diminuita la percentuale di quanti si connettono per leggere e scaricare giornali, news, informazioni (44 contro il 46,7 per cento del 2009). Dunque, cosa fanno o, meglio, facciamo online? Semplicemente, spiega Mantellini, quello per cui siamo famosi in tutto il mondo: ci scambiamo saluti, foto e pettegolezzi su Facebook (che ha cannibalizzato altre forme di chat e istant messaging). In un altro articolo, sempre dati alla mano, si legge che ad oggi risultano iscritti al social network 17,6 milioni di italiani: uno dei rari casi, si dice, in cui il nostro Paese non è in ritardo rispetto al resto d’Europa nell’uso del Web.

Ben vengano, dunque, nuove tecnologie e nuovi mezzi in grado di farci comunicare in modo più economico (in termini di tempo, di spazio e, perché no, a costo zero). Rattrista però (e un po’ fa arrabbiare) vedere le aule di informatica universitarie tutte occupate (e questo di per sé è un buon segno) da ragazzi che hanno davanti a loro schermi tutti uguali, tutti ugualmente connessi…a Facebook.

lunedì 24 gennaio 2011

Final Four Coppa Italia di pallavolo: Cuneo regna al Palaolimpia di Verona

Uno splendido spettacolo quello che sabato 22 e domenica 23 gennaio ha infiammato il Palaolimpia di Verona: la Final Four di Coppa Italia di pallavolo. 
Molte le squadre ed i campioni che si sono fronteggiati questo weekend al palazzetto di Verona. 
Sabato le semifinali hanno visto contrapposte Itas Diatec Trentino e Sisley Treviso prima, Bre Banca Lanutti Cuneo e Lube Banca Marche Macerata poi.
La prima semifinale ha registrato la netta vittoria della squadra di Trento che si è imposta per 3-0 sulla squadra di Treviso; nonostante l'ottima prestazione di Jiri Kovar (14 punti), infatti, i trevigiani nulla hanno potuto contro la corazzata guidata da mister Radostin Stoytchev che ha trovato in Matey Kaziyski (17 punti) e in Osmany Juantorena (15 punti) i suoi trascinatori.
La seconda semifinale, senza dubbio più combattuta, ha visto la vittoria di Bre Banca Lanutti Cuneo sulla squadra di Macerata per 3-2. Notevole la prestazione del giovane schiacciatore di Cuneo Simone Parodi che, con i suoi 24 punti ha contribuito senza dubbio alla vittoria della sua squadra, nonostante i 23 punti del capitano di Macerata Igor Omrcen, i 18 di Matteo Martino ed i 16 di Cristian Savani. 
Domenica, invece, NGM Mobile Santa Croce e a Marcegaglia CMC Ravenna si sono affrontate nella finalissima di Coppa Italia di A2. Netto è stato il successo della formazione toscana sui romagnoli che, guidati da Vincenzo Tamburo (alla fine nominato MVP Sustenium), hanno conquistato la seconda Coppa Italia Serie A2 della storia del club. 
A seguire lo scontro tra Itas Diatec Trentino e Bre Banca Lanutti Cuneo, con la vittoria della squadra piemontese per 3-0 sull’Itas Diatec Trentino.
La formazione piemontese ha portato, dunque, a casa la sua quinta Coppa Italia Serie A1 (le precedenti: 1995/96, 1998/99, 2001/02, 2005/06) a quasi 1 anno di distanza dalla Finale persa proprio contro Trento a Montecatini Terme. Grande protagonista in campo è stato Nikola Grbic che porta a casa il terzo trofeo di Coppa Italia della propria carriera, dopo quelli vinti nel 1998/99 (TNT Alpitour Cuneo) e nel 1999/00 (Sisley Treviso), avvalorato anche dal premio di MVP Sustenium quale miglior giocatore della Finale.
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sabato 15 gennaio 2011

La società letteraria di Guernsay: un libro sul piacere di leggere


Gennaio 1946. Il mondo sta uscendo a fatica dall'incubo della Seconda guerra mondiale e vive nel miraggio di costruirsi un futuro migliore. In una Londra fredda e grigia, Juliet Ashton, giovane scrittrice di successo, sta cercando il soggetto per il suo nuovo romanzo. Inaspettato, lo spunto nasce da una lettera di Dawsey Adams, fattore dell'isola di Guernsey, nella Manica, che ha trovato il suo indirizzo su un vecchio libro usato. I due iniziano una fitta corrispondenza; è proprio Dawsey a svelare a Juliet la storia della Società Letteraria di Guernsey, nata per sfuggire al coprifuoco tedesco durante l'occupazione dell'isola. Da quel fatidico momento, un gruppo di persone che fino ad allora si era limitato a leggere le Sacre Scritture, i cataloghi di sementi e la Gazzetta del Porcaro scopre un genere diverso di lettura: Shakespeare, Marco Aurelio, Jane Eyre, i grandi classici. La Società diventa ben presto la ragione della loro vita, l'unico modo per sfuggire, attraverso il piacere che solo i grandi libri sanno offrire, agli orrori della guerra. Da semplice pretesto, la lettura diventa un vero e proprio piacere, tanto che il circolo continua a esistere anche a guerra finita. A poco a poco Juliet amplia il cerchio dei suoi 'amici di penna' e, sempre più affascinata dalle storie degli abitanti dell'isola, dalle loro vite straordinarie, da come l'amore per i libri li abbia aiutati nei giorni cupi dell’occupazione, decide di partire. E proprio a Guernsey riuscirà a trovare non solo l'ispirazione per il suo lavoro, ma qualcosa che cambierà per sempre il corso della sua vita.
“La società letteraria di Guernsay” è un libro dal sapore antico, dalle sue descrizioni sembra quasi di sentire l’odore della brezza marina che regna sovrana sull’isola. Mary Ann Shaffer ci dona un romanzo pieno di humour, che celebra i libri e la letteratura nella loro interezza. Con il suo unico romanzo, la scrittrice americana ci aiuta a riscoprire quella gioia particolare che solo la lettura di un buon libro può dare.

domenica 5 dicembre 2010

La Romania che non si vede


1 dicembre 1918 – ad Alba – Iulia è stata decisa l’unione della Transilvania, del Banat, della Crisana e del Maramures al Regato Romeno: forse il giorno più importante per la Romania, il giorno nel quale è diventata uno stato intero e unito. Un pezzo di storia, che avrò studiato da piccola, ma che non ricordo bene. Ogni anno però, quando arriva il 1 di dicembre, si sveglia dentro di me un forte sentimento patriottico e allora cerco video, leggo articoli e ascolto canzoni collegate a questo grande avvenimento. Questo sentimento è sempre più forte da quando sono diventata cittadina del mondo e non vivo più in Romania. Infatti da 5 anni, insieme a centinaia di migliaia di romeni, festeggio il 1 di dicembre a Verona e sento il bisogno di far sapere alla gente che oggi è il nostro giorno, che esistiamo anche noi, che abbiamo una storia che ci lega all’Italia, che abbiamo delle tradizioni da portare avanti e da non dimenticare. Ovviamente è molto difficile fare questo, vista l’immagine dei romeni in Italia e la comprensibile indifferenza degli italiani. Comunque, io sono tra i pochi fortunati che hanno la possibilità di condividere i propri sentimenti e di dare anche un altro volto alla Romania, cosicché vi racconterò come ho festeggiato quest’anno il giorno nazionale del mio paese.
In occasione della festa nazionale della Romania (1 dicembre) e di San Nicola (6 dicembre), l’associazione culturale romena “Decebal Traian” di San Dona di Piave (VE) ha organizzato il 4 dicembre al centro scolastico “Fortunata Gresner” di Verona una festa-spettacolo intitolata “Per conoscere la Romania, bisogna conoscere la sua gente”, invitando dei grandi artisti romeni e un gruppo di giovani che vivono e studiano in Italia, ma che non vogliono dimenticare le loro origini e le loro tradizioni e che hanno imparato per l’occasione i canti e i balli tradizionali. I ragazzi hanno aperto la serata con le “colinde”, canzoni tradizionali di Natale, hanno ballato la “capra” e la “stella” e hanno chiuso con delle danze popolari. Dopo sono saliti sul palco Mioara Velicu – cantante di musica popolare, proveniente dalla regione Moldavia e in seguito, Dinu Iancu Salajanu e il suo gruppo di strumentisti, provenienti dalla Transilvania, che hanno cantato e suonato canzoni tradizionali romene e sono riusciti ad alzare in piedi le 400 persone del pubblico con la canzone “Noi suntem romani” – “noi siamo romeni”, gli ultimi versi della quale sono questi: “noi siamo ROMANI, noi siamo romani, noi siamo gli antenati di Traian”.
http://www.youtube.com/watch?v=14ZGhRMRyTY&feature=related
Per finire, il grandissimo attore Florin Piersic, che ha intrattenuto il pubblico con i suoi racconti, i suoi ricordi, le sue canzoni, le sue barzellette, le sue poesie e soprattutto con un modo di avvicinarsi al pubblico molto umano e speciale, come se non fosse un grande artista, ma uno di noi. E’ difficile trascrivere in parole le emozioni vissute e lo è ancora di più quando le si devono anche spiegare. Sfortunatamente l’incontro era difficilmente proponibile agli italiani, in quanto svoltosi in lingua romena. Penso che questo sia stato l’unico punto a suo sfavore, perché la partecipazione di italiani sarebbe stata utile per promuovere l’integrazione e aiutare a migliorare l’immagine della Romania. Aspettiamo il prossimo anno.
Vi propongo un video utile e divertente, per dare un’occhiata anche alla parte positiva della Romania:
http://www.youtube.com/watch?v=LjvY6tZXng4&feature=related

sabato 4 dicembre 2010

Public Enemies


Chi è Julian Paul Assange? È un uomo animato da vero spirito investigativo e giornalistico? È un hacker, un “terrorista digitale”? È una persona eticamente corretta o no? In questi giorni si è sentito tanto parlare di lui, mai così tanto da quando, tra il dicembre 2006 e il gennaio 2007, ha dato ufficialmente vita alla sua creatura: WikiLeaks. Ma andiamo con ordine. Anch’io, come molti di voi probabilmente, avevo già incontrato il nome di Assange e scoperto l’esistenza di WikiLeaks. Anch’io ero rimasta scioccata dal video –trasmesso anche dai tg nazionali– denominato Collateral Murder (Omicidio Collaterale, vedi), in cui le immagini sulla guerra in Iraq erano filtrate dall’obiettivo di un mirino, mirino che era servito poi per colpire dei civili inermi (tra cui due giornalisti della Reuters) scambiati per guerriglieri.

Se qualcuno avesse chiesto la mia opinione sul suo operato, dovendo scegliere tra le alternative poste all’inizio, non avrei esitato a indicare la prima. Già, perché come ammette Chris Anderson che intervista Assange nell’ambito delle “TED Conferences” (vedi), WikiLeaks ha, in soli quattro anni di vita, reso pubblici più documenti di tutti i media internazionali messi insieme. Tra le “chicche” vale qui la pena ricordare le rivelazioni sul centro di detenzione di Guantanamo, sulla banca elvetica Julius Baer (che ha consentito l’evasione fiscale a tanti uomini eccellenti), sulla corruzione e i massacri in Kenya, fino ad arrivare al video sopra citato e agli scoop di queste ultime settimane. Ciò che colpisce, oltre alla naturale reazione dei leader mondiali, è che ora Assange sia ufficialmente e, aggiungerei, improvvisamente ricercato dall’Interpol per “crimini sessuali” (vedi sito Interpol), in particolare per la violenza che due donne avrebbero denunciato di aver subito qualche mese fa in Svezia, uno dei Paesi che ospita i server di WikiLeaks. Da parte sua Assange dichiara che i rapporti erano consensuali e ad oggi non abbiamo motivo per ritenere il contrario. Anzi. È proprio questa “coincidenza”, questa simultaneità temporale a stupire, quasi ci si volesse attaccare a un mero pretesto per mettere a tacere l’uomo che sembra aver preso il posto di Bin Laden, tanto è giudicato pericoloso.

Ma le coincidenze non finiscono qui. Due giorni fa i giornali e i telegiornali aprivano con la notizia dell’elogio del Segretario di Stato americano Hilary Clinton a Berlusconi, definito l’"amico migliore", passato e presente, degli Usa. Il giorno dopo i rapporti segreti degli ultimi due ambasciatori americani di stanza a Roma rivelavano dapprima il sospetto che Berlusconi intrattenesse rapporti privati con Putin e, successivamente, tutta una serie di considerazioni sullo stato di salute del nostro premier. Strano, verrebbe da dire. Sembra davvero che nei rapporti politici e diplomatici si faccia buon viso a cattivo gioco. Che si difenda l’amico, o il presunto tale, per difendere in realtà se stessi, sperando di essere in qualche modo contraccambiati (e perdonati). Ma a spaventare, come si sa, non sono stati i giudizi degli ambasciatori americani sui "big" mondiali. In fondo, cosa ci importa di sapere che Berlusconi è fisicamente provato dai numerosi party a cui partecipa? O cosa ci importa di altri “pettegolezzi” sullo stile di leadership di Sarkozy (descritto come “autoritario e permaloso”) e sulle fobie di Gheddafi? Effettivamente nulla. A spaventare davvero è il potere enorme che in pochi anni ha acquisito WikiLeaks, il fatto che sia sostenuta anche dall’opinione pubblica. Lo dimostra in parte un sondaggio promosso sul sito de L’espresso; pur non trattandosi di un’indagine rappresentativa, la maggioranza dei votanti ha giudicato Assange “un eroe della libertà d'informazione che permette al mondo di sapere la verità”, mentre solo una minoranza ha votato a favore dell’opzione “un irresponsabile pericoloso, un terrorista digitale”. E a questo punto il mio pensiero non può non andare – ancora una volta - a Roberto Saviano e a Vieni via con me. In una delle puntate, non ricordo quale, ci si chiedeva perché dopo Gomorra a Saviano fosse stata emessa una condanna a morte dai Casalesi. Ebbene, una risposta c’è: la mafia non ha paura del libro in sé, ha paura del successo di pubblico e della diffusione che ha avuto. Certo, siamo su piani diversi, ma se dovessi rispondere nuovamente alla domanda su chi è Julian Assange, confermerei la mia opinione, con l’unica riserva, forse, dovuta ai “pettegolezzi” citati in precedenza, dei quali, in fondo, ci importa poco.