domenica 28 novembre 2010

C'era una volta il Castello dei sorrisi

Quella che vi racconto oggi è una storia che inizia con una ricerca su Internet, urgente ed affannosa, perché lo scopo era quello di salvare la vita a due bambini gravemente malati. Il risultato della ricerca? Un sito Internet: www.ilcastellodeisorrisi.org.
Ma andiamo con ordine. Come in ogni storia che si rispetti, anche nella nostra ci sono buoni e cattivi. Qui, per fortuna, i buoni sono tanti. Primo fra tutti colui che ha dato inizio a tutto questo, compiendo la ricerca di cui vi parlavo prima: un tenente dell'esercito italiano di stanza in Kosovo. E' stato lui a porsi per primo il problema di come salvare la vita di Nik, 1 anno, e Ylli, nove mesi, due bambini kosovari con urgente bisogno di un'operazione chirurgica impraticabile in Kosovo, per mancanza di fondi e di materiali negli ospedali. L'unica speranza per questi bambini era costituita da un viaggio in Italia. Solo lì, infatti, Nik ed Ylli potevano essere sottoposti agli interventi di cui avevano bisogno. Più che una possibilità concreta, questa era una sorta di miraggio per i bambini e per le loro madri; un viaggio del genere sarebbe stato impossibile senza l'aiuto di quei buoni che avevo iniziato ad elencare: l'Esercito Italiano, la Regione Veneto e l'associazione Onlus di Verona Il Castello dei Sorrisi. Alla Regione Veneto il compito di coprire le spese dell'ospedalizzazione di mamme e bambini, al Castello dei Sorrisi quello di organizzare e finanziare il viaggio e di far fronte a qualunque cosa mamme e figli avessero avuto bisogno, una volta in Italia.
Dopo aver presentato i buoni di questa storia, ecco i cattivi: Malattia, Povertà, Guerra e Morte. Nemici pressoché impossibili da sconfiggere completamente, perché quando mettono radici in qualche luogo, come in Kosovo, lo fanno in maniera talmente invasiva, da essere difficilissimi da estirpare. Esempio emblematico di ciò è la situazione dei due bambini in questione e delle loro madri. Zyra, la madre di Ylli, è arrivata in Italia unicamente con i vestiti che indossava perché non ne aveva altri; Tone, invece, madre di Nik, per avere i soldi che le avrebbero garantito 15 giorni di cure per il figlio in Kosovo, aveva dovuto vendere il suo unico mezzo di trasporto, un cavallo. Nonostante tutto ciò, i nostri eroi non si sono dati per vinti e sono riusciti a far arrivare i bambini e le madri in Italia.
Ad aspettarli a Verona i volontari del Castello dei Sorrisi, associazione nata nel comune di Castel d’Azzano e certamente abituata ad iniziative di solidarietà, ma che non aveva idea della difficoltà che questo particolare progetto, ribattezzato poi K2, avrebbe portato con sé; difficoltà non solo organizzative, ma anche emozionali. Difficile è stato, infatti, provvedere a tutto ciò che serviva a madri e figli per sopravvivere - dai bisogni più elementari come il cibo ed il vestiario, al trovare loro un alloggio per il periodo in cui non erano in ospedale -, ma ancora più difficile è stato veder arrivare in Italia questi cuccioli indifesi aggrappati alla vita con le unghie, accompagnati da donne le cui speranze di veder sopravvivere i propri figli erano pressoché nulle, affezionarsi a loro, sperare con loro, gioire con loro e lasciarli tornare poi in Kosovo, con il terrore di non aver fatto abbastanza per aiutarli.
Ormai è passato più di un anno dall’inizio della nostra storia ed il Castello dei Sorrisi ha contribuito ad aiutare tantissimi bambini come Nik ed Ylli: Albin, Aiola, Bledion, Diola, Argjila, Altin, Anton, Tuana, Andi, Anzhalika. Alcuni di loro sono dovuti tornare più volte, Nik, purtroppo, non c’è l’ha fatta, ma niente ha mai scoraggiato i volontari del Castello dei Sorrisi, che continuano nella loro missione di solidarietà armati di perseveranza, di voglia di fare e di sorrisi, perché, come dice l’antico proverbio giapponese al quale fanno riferimento, non sorridiamo perché qualcosa di bello è successo, ma qualcosa di bello succederà perché sorridiamo.

Ilaria Piacenza

venerdì 26 novembre 2010

Se la realtà diventa fiction...


Un finto salvataggio di immigrati sulle coste calabresi, mandato in onda dal tg1 delle 20; fatti che si presumono di cronaca ripresi da veri e propri set fotografici; “gaffe” e rettifiche dei più prestigiosi quotidiani nazionali e internazionali; piccoli e grandi “ritocchi” fotografici e di montaggio per “abbellire” la realtà o per renderla ancora più vera agli occhi dello spettatore.

È questa la battaglia che da un po’ di anni porta avanti Marco Reis, giornalista professionista e docente a contratto presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Torino. Ed è di questo che ha parlato nell’incontro pubblico svoltosi nella nostra Università, nell’ambito del progetto “Facoltà di Comunicare”. Attraverso l’Osservatorio sull’Informazione (di cui è presidente) e il sito www.malainformazione.it (di cui è direttore), Reis vuole portare a galla quella che è diventata una prassi troppo diffusa nel mondo della produzione di notizie.

Già, perché di questo si tratta, di produzione, come Reis afferma più volte: il mondo dell’informazione può essere anche un’industria, che confeziona delle “belle” notizie, “belle” dal punto di vista narrativo, perfette a tal punto da diventare delle vere e proprie “storie”. Inventate, interamente o in parte.

Certo, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, come il buon senso comune ci suggerisce, ma alcuni spunti aiutano sicuramente a riflettere e a difendersi, per quanto possibile. Non mi dilungherò nel resoconto dettagliato di quanto detto da Reis durante la conferenza. Gran parte potete già trovarlo sul suo sito, sopra menzionato. Vorrei però portare un fatto -incredibile, per certi aspetti- che si è svolto proprio in nostra presenza, a riprova di quanto questo tema sia “scottante” per gli stessi organi d'informazione. Ebbene, a quell’incontro erano presenti anche due giornaliste di un'importante testata locale (di Verona si intende) che, una volta comunicato al loro caporedattore il tema che si stava affrontando, sono state invitate a non realizzare alcun pezzo al riguardo. Nessun giudizio di valore da parte mia, solo un dato di fatto.

martedì 23 novembre 2010

Editoriale di apertura

Reduce dalla terza puntata di “Vieni via con me” di Saviano e Fazio, anch’io voglio stilare un mio personalissimo “elenco”. Lo voglio chiamare “elenco dei motivi per cui ho deciso di collaborare a questo blog”. Ecco dunque la mia serie di “perché”… Perché anche se il web è pieno di blog, il nostro sarà sempre diverso dagli altri. Perché vogliamo fare di questo spazio un luogo di condivisione e confronto di idee, le nostre e le vostre. Perché se è vero che fa più notizia l’uomo che morde un cane, di sensazionalismo ce n’è fin troppo in giro. Perché tra la cronaca nera e quella rosa c’è anche quella bianca (più tutta una serie di altre sfumature). Perché vogliamo dare spazio anche a quella parte di realtà che funziona, fatta di persone che si impegnano per farla funzionare. Perché si tratta di un viaggio, che magari ci porterà lontano…

Katia Ferraro

domenica 21 novembre 2010

Perché Fermo Immagine?

Oh no! Un altro blog con manie di grandezza che vorrebbe sembrare un giornale online! Li immagino già i commenti di chi fra voi si avvicinerà a Fermo Immagine News le prime volte, e voglio rassicurarli da subito. L'intento di Fermo Immagine News è senza dubbio quello di tenerci e tenervi informati su ciò che succede in Italia, nel mondo e in particolare a Verona -città in cui viviamo e studiamo-, ma non si limita a questo. Ciò a cui vogliamo arrivare con questo blog, infatti, è dipingere un ritratto della società in cui viviamo partendo dalla cronaca e dall'attualità, uno spaccato critico che aiuti ad andare oltre la superficie, un Fermo Immagine del mondo in cui viviamo, con i suoi problemi e tutte quelle realtà che solo pochi conoscono.
Obiettivo ambizioso? Forse, ma ce la metteremo tutta.
Ilaria Piacenza