martedì 25 gennaio 2011

What's your facebook?


Il vero fenomeno di tendenza da cui non ci si può sottrarre è Facebook. Non passa giorno che tg e giornali ne parlino, vuoi per la nascita di gruppi incitanti all’odio di ogni tipo o semplicemente “scomodi”, vuoi per i tam-tam che è in grado di innescare, per le identità rubate (l’ultima è stata quella di Sarkozy), o perché assurge al ruolo di nuovo mezzo “sfasciafamiglie”. La notizia è di qualche giorno fa e parte dalla Gran Bretagna, dove nelle ultime cause di divorzio Facebook la fa da padrone: tradimenti scoperti grazie al social network, relazioni virtuali che arrivano a mettere a repentaglio la vita di coppia. Sarebbe scontato però passare ai facili moralismi, condannare in toto una realtà che, come altre che l’hanno preceduta, presenta lati non solo negativi. È ciò che emerge anche dalle parole di un portavoce della società, il quale sostiene essere una sciocchezza condannare Facebook, perché sarebbe come incolpare il cellulare, le mail e tutto ciò che oggigiorno ci consente di essere in contatto con il resto del mondo.

Prima di emettere la sentenza, di condanna o di assoluzione, bisogna provare a riflettere. Parto innanzitutto dalla “mission” che si propone Facebook: favorire la socialità e allargare la cerchia di amicizie dei suoi utenti. Si tratta di una promessa, che ognuno può giudicare da sé se viene mantenuta. I distinguo da fare sarebbero tanti, ma bastano qui due osservazioni: è possibile considerare “amici” (nel senso vero della parola) mille se non più persone? E, a proposito di socialità, un buon metro di misura potrebbe essere quello di verificare quanti dei rapporti di amicizia online continuano poi nella vita reale (tradimenti e infedeltà a parte).

Dal momento poi che non esistono mezzi maligni, ma tutto sta nell’uso che se ne fa, ne deriverebbe un “processo alle intenzioni” di ognuno, in sé impossibile da attuare. E, allora, bisogna partire dai dati.

Massimo Mantellini scrive su L’espresso di questa settimana che, secondo i dati Istat del 2010, il numero di italiani che accede a Internet è cresciuto di oltre 5 punti percentuali rispetto al 2009 (52,4 contro il 47,3 per cento). Parallelamente è però diminuita la percentuale di quanti si connettono per leggere e scaricare giornali, news, informazioni (44 contro il 46,7 per cento del 2009). Dunque, cosa fanno o, meglio, facciamo online? Semplicemente, spiega Mantellini, quello per cui siamo famosi in tutto il mondo: ci scambiamo saluti, foto e pettegolezzi su Facebook (che ha cannibalizzato altre forme di chat e istant messaging). In un altro articolo, sempre dati alla mano, si legge che ad oggi risultano iscritti al social network 17,6 milioni di italiani: uno dei rari casi, si dice, in cui il nostro Paese non è in ritardo rispetto al resto d’Europa nell’uso del Web.

Ben vengano, dunque, nuove tecnologie e nuovi mezzi in grado di farci comunicare in modo più economico (in termini di tempo, di spazio e, perché no, a costo zero). Rattrista però (e un po’ fa arrabbiare) vedere le aule di informatica universitarie tutte occupate (e questo di per sé è un buon segno) da ragazzi che hanno davanti a loro schermi tutti uguali, tutti ugualmente connessi…a Facebook.

1 commento:

  1. Facebook serve solo per farsi gli affari degli altri! Almeno, io faccio così! :-P

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