domenica 5 dicembre 2010

La Romania che non si vede


1 dicembre 1918 – ad Alba – Iulia è stata decisa l’unione della Transilvania, del Banat, della Crisana e del Maramures al Regato Romeno: forse il giorno più importante per la Romania, il giorno nel quale è diventata uno stato intero e unito. Un pezzo di storia, che avrò studiato da piccola, ma che non ricordo bene. Ogni anno però, quando arriva il 1 di dicembre, si sveglia dentro di me un forte sentimento patriottico e allora cerco video, leggo articoli e ascolto canzoni collegate a questo grande avvenimento. Questo sentimento è sempre più forte da quando sono diventata cittadina del mondo e non vivo più in Romania. Infatti da 5 anni, insieme a centinaia di migliaia di romeni, festeggio il 1 di dicembre a Verona e sento il bisogno di far sapere alla gente che oggi è il nostro giorno, che esistiamo anche noi, che abbiamo una storia che ci lega all’Italia, che abbiamo delle tradizioni da portare avanti e da non dimenticare. Ovviamente è molto difficile fare questo, vista l’immagine dei romeni in Italia e la comprensibile indifferenza degli italiani. Comunque, io sono tra i pochi fortunati che hanno la possibilità di condividere i propri sentimenti e di dare anche un altro volto alla Romania, cosicché vi racconterò come ho festeggiato quest’anno il giorno nazionale del mio paese.
In occasione della festa nazionale della Romania (1 dicembre) e di San Nicola (6 dicembre), l’associazione culturale romena “Decebal Traian” di San Dona di Piave (VE) ha organizzato il 4 dicembre al centro scolastico “Fortunata Gresner” di Verona una festa-spettacolo intitolata “Per conoscere la Romania, bisogna conoscere la sua gente”, invitando dei grandi artisti romeni e un gruppo di giovani che vivono e studiano in Italia, ma che non vogliono dimenticare le loro origini e le loro tradizioni e che hanno imparato per l’occasione i canti e i balli tradizionali. I ragazzi hanno aperto la serata con le “colinde”, canzoni tradizionali di Natale, hanno ballato la “capra” e la “stella” e hanno chiuso con delle danze popolari. Dopo sono saliti sul palco Mioara Velicu – cantante di musica popolare, proveniente dalla regione Moldavia e in seguito, Dinu Iancu Salajanu e il suo gruppo di strumentisti, provenienti dalla Transilvania, che hanno cantato e suonato canzoni tradizionali romene e sono riusciti ad alzare in piedi le 400 persone del pubblico con la canzone “Noi suntem romani” – “noi siamo romeni”, gli ultimi versi della quale sono questi: “noi siamo ROMANI, noi siamo romani, noi siamo gli antenati di Traian”.
http://www.youtube.com/watch?v=14ZGhRMRyTY&feature=related
Per finire, il grandissimo attore Florin Piersic, che ha intrattenuto il pubblico con i suoi racconti, i suoi ricordi, le sue canzoni, le sue barzellette, le sue poesie e soprattutto con un modo di avvicinarsi al pubblico molto umano e speciale, come se non fosse un grande artista, ma uno di noi. E’ difficile trascrivere in parole le emozioni vissute e lo è ancora di più quando le si devono anche spiegare. Sfortunatamente l’incontro era difficilmente proponibile agli italiani, in quanto svoltosi in lingua romena. Penso che questo sia stato l’unico punto a suo sfavore, perché la partecipazione di italiani sarebbe stata utile per promuovere l’integrazione e aiutare a migliorare l’immagine della Romania. Aspettiamo il prossimo anno.
Vi propongo un video utile e divertente, per dare un’occhiata anche alla parte positiva della Romania:
http://www.youtube.com/watch?v=LjvY6tZXng4&feature=related

sabato 4 dicembre 2010

Public Enemies


Chi è Julian Paul Assange? È un uomo animato da vero spirito investigativo e giornalistico? È un hacker, un “terrorista digitale”? È una persona eticamente corretta o no? In questi giorni si è sentito tanto parlare di lui, mai così tanto da quando, tra il dicembre 2006 e il gennaio 2007, ha dato ufficialmente vita alla sua creatura: WikiLeaks. Ma andiamo con ordine. Anch’io, come molti di voi probabilmente, avevo già incontrato il nome di Assange e scoperto l’esistenza di WikiLeaks. Anch’io ero rimasta scioccata dal video –trasmesso anche dai tg nazionali– denominato Collateral Murder (Omicidio Collaterale, vedi), in cui le immagini sulla guerra in Iraq erano filtrate dall’obiettivo di un mirino, mirino che era servito poi per colpire dei civili inermi (tra cui due giornalisti della Reuters) scambiati per guerriglieri.

Se qualcuno avesse chiesto la mia opinione sul suo operato, dovendo scegliere tra le alternative poste all’inizio, non avrei esitato a indicare la prima. Già, perché come ammette Chris Anderson che intervista Assange nell’ambito delle “TED Conferences” (vedi), WikiLeaks ha, in soli quattro anni di vita, reso pubblici più documenti di tutti i media internazionali messi insieme. Tra le “chicche” vale qui la pena ricordare le rivelazioni sul centro di detenzione di Guantanamo, sulla banca elvetica Julius Baer (che ha consentito l’evasione fiscale a tanti uomini eccellenti), sulla corruzione e i massacri in Kenya, fino ad arrivare al video sopra citato e agli scoop di queste ultime settimane. Ciò che colpisce, oltre alla naturale reazione dei leader mondiali, è che ora Assange sia ufficialmente e, aggiungerei, improvvisamente ricercato dall’Interpol per “crimini sessuali” (vedi sito Interpol), in particolare per la violenza che due donne avrebbero denunciato di aver subito qualche mese fa in Svezia, uno dei Paesi che ospita i server di WikiLeaks. Da parte sua Assange dichiara che i rapporti erano consensuali e ad oggi non abbiamo motivo per ritenere il contrario. Anzi. È proprio questa “coincidenza”, questa simultaneità temporale a stupire, quasi ci si volesse attaccare a un mero pretesto per mettere a tacere l’uomo che sembra aver preso il posto di Bin Laden, tanto è giudicato pericoloso.

Ma le coincidenze non finiscono qui. Due giorni fa i giornali e i telegiornali aprivano con la notizia dell’elogio del Segretario di Stato americano Hilary Clinton a Berlusconi, definito l’"amico migliore", passato e presente, degli Usa. Il giorno dopo i rapporti segreti degli ultimi due ambasciatori americani di stanza a Roma rivelavano dapprima il sospetto che Berlusconi intrattenesse rapporti privati con Putin e, successivamente, tutta una serie di considerazioni sullo stato di salute del nostro premier. Strano, verrebbe da dire. Sembra davvero che nei rapporti politici e diplomatici si faccia buon viso a cattivo gioco. Che si difenda l’amico, o il presunto tale, per difendere in realtà se stessi, sperando di essere in qualche modo contraccambiati (e perdonati). Ma a spaventare, come si sa, non sono stati i giudizi degli ambasciatori americani sui "big" mondiali. In fondo, cosa ci importa di sapere che Berlusconi è fisicamente provato dai numerosi party a cui partecipa? O cosa ci importa di altri “pettegolezzi” sullo stile di leadership di Sarkozy (descritto come “autoritario e permaloso”) e sulle fobie di Gheddafi? Effettivamente nulla. A spaventare davvero è il potere enorme che in pochi anni ha acquisito WikiLeaks, il fatto che sia sostenuta anche dall’opinione pubblica. Lo dimostra in parte un sondaggio promosso sul sito de L’espresso; pur non trattandosi di un’indagine rappresentativa, la maggioranza dei votanti ha giudicato Assange “un eroe della libertà d'informazione che permette al mondo di sapere la verità”, mentre solo una minoranza ha votato a favore dell’opzione “un irresponsabile pericoloso, un terrorista digitale”. E a questo punto il mio pensiero non può non andare – ancora una volta - a Roberto Saviano e a Vieni via con me. In una delle puntate, non ricordo quale, ci si chiedeva perché dopo Gomorra a Saviano fosse stata emessa una condanna a morte dai Casalesi. Ebbene, una risposta c’è: la mafia non ha paura del libro in sé, ha paura del successo di pubblico e della diffusione che ha avuto. Certo, siamo su piani diversi, ma se dovessi rispondere nuovamente alla domanda su chi è Julian Assange, confermerei la mia opinione, con l’unica riserva, forse, dovuta ai “pettegolezzi” citati in precedenza, dei quali, in fondo, ci importa poco.

mercoledì 1 dicembre 2010

Incontri con l'Africa


E’ da qualche settimana che mi sono avvicinata tanto ad un continente che viene rappresentato in mille modi, che sembra così lontano, ma invece è più vicino di quello che ci aspettassimo; un continente che con i suoi colori, sapori e tradizioni ci sembra irreale; un continente del quale pensiamo di sapere tutto e invece non sappiamo niente: l’Africa.
Tra il 12 e il 21 novembre si è svolto a Verona il XXX Festival del cinema africano, un incontro importante ed emozionante. Durante questi giorni sono stati presentati 50 film, tra lungo-medio e cortometraggi, documentari, film fuori concorso e vari workshop. Lo slogan che ha caratterizzato il festival quest’anno è stato: “Generations: ieri, oggi e domani del sogno indipendente africano”, che ha voluto dar voce alle nuove generazioni e soprattutto alle donne, in qualità di registe. Sfortunatamente ho visto soltanto 3 film, però mi è bastato per capire che quello che sappiamo noi, europei, dell’Africa, e soprattutto quello che ci viene detto dai media, è totalmente diverso e lontano da quella che è la realtà di un continente così grande e ricco. Non vi dico altro, sperando che queste righe vi abbiamo suscitato un po’ di interesse e curiosità e vi abbiano spinto a cercare di più, ad avvicinarvi di più e a fare più domande.
Leggendo un articolo sul mensile Combonifem che riguardava sempre il festival del cinema africano, ho trovato una frase molto interessante che vi propongo:"Il futuro dell’Africa è donna”, lo dice Malice Omondi, speaker dei programmi di Afri Radio. Una frase forte e importante, che va in contraddizione con quello che vi racconterò. Stasera si è svolto il terzo incontro del progetto “Facoltà di comunicare” all’Università di Verona e il tema trattato è stato quello delle donne schiave del traffico di esseri umani e vittime della tratta. Un incontro a dir poco commovente, con la visione di un documentario realizzato da Andrea Deaglio, intitolato “Not the promised land” che fa vedere come il sogno di una donna si può infrangere in un attimo, con la violenza e la paura. In seguito Anna Pozzi, giornalista e scrittrice che ha presentato il suo libro “Schiave” (http://www.youtube.com/watch?v=hC4ouuT1MMc) e Jessica Cugini, caporedattrice di Combonifem, la quale ha sottolineato l’importanza della voce dei migranti e soprattutto delle donne, che hanno così tanto bisogno di essere ascoltate.
Infine, la testimonianza di Isoke Aikpitanyi, una giovane nigeriana, in Italia dal 2000 e autrice del libro “Le ragazze di Benin City”, che dice: “Sono stata, sono e sarò sempre una vittima della tratta”. Il suo sguardo era intenso, parlava guardando un punto fisso, per non emozionarsi troppo e per restare concentrata, le si leggeva l’imbarazzo nei gesti e nella voce. Ci racconta che la prima cosa che le è stata tolta è stato il passaporto, e quindi l’identità e che il suo passaporto è stato usato da altre ragazze che “viaggiavano”: una di loro ha fatto una brutta fine, e qualche anno fa Isoke è andata in Sicilia a portare dei fiori sulla propria tomba, perché la ragazza che aveva il sua passaporto è morta. Così Isoke non esiste più. Ma è ottimista, è dice che questo è un problema che risolverà. Da quando è arrivata in Italia è stata “protetta” da una “maman”, una signora africana che sfrutta le ragazze e chiede a loro enormi somme di denaro (dai 30 ai 80 mila euro) per averle portate qui. In teoria, quando il debito viene pagato, le ragazze sono libere….in teoria. Vi consiglio di leggere questa testimonianza per capire meglio: http://www.combonifem.it/articolo.aspx?t=M&a=1728
Oggi, in Italia ci sono oltre 10.000 maman. Il traffico degli esseri umani è il terzo più redditizio al mondo, dopo quello delle armi e della droga. L’80% del traffico riguarda le donne, e il 20% di esse sono minorenni, bambine. Negli ultimi 20 anni il fenomeno della prostituzione è esploso. Perché? Ovviamente perché c’à la richiesta. E questo fa pensare.
A voi non fanno impressione queste cifre?