sabato 4 dicembre 2010

Public Enemies


Chi è Julian Paul Assange? È un uomo animato da vero spirito investigativo e giornalistico? È un hacker, un “terrorista digitale”? È una persona eticamente corretta o no? In questi giorni si è sentito tanto parlare di lui, mai così tanto da quando, tra il dicembre 2006 e il gennaio 2007, ha dato ufficialmente vita alla sua creatura: WikiLeaks. Ma andiamo con ordine. Anch’io, come molti di voi probabilmente, avevo già incontrato il nome di Assange e scoperto l’esistenza di WikiLeaks. Anch’io ero rimasta scioccata dal video –trasmesso anche dai tg nazionali– denominato Collateral Murder (Omicidio Collaterale, vedi), in cui le immagini sulla guerra in Iraq erano filtrate dall’obiettivo di un mirino, mirino che era servito poi per colpire dei civili inermi (tra cui due giornalisti della Reuters) scambiati per guerriglieri.

Se qualcuno avesse chiesto la mia opinione sul suo operato, dovendo scegliere tra le alternative poste all’inizio, non avrei esitato a indicare la prima. Già, perché come ammette Chris Anderson che intervista Assange nell’ambito delle “TED Conferences” (vedi), WikiLeaks ha, in soli quattro anni di vita, reso pubblici più documenti di tutti i media internazionali messi insieme. Tra le “chicche” vale qui la pena ricordare le rivelazioni sul centro di detenzione di Guantanamo, sulla banca elvetica Julius Baer (che ha consentito l’evasione fiscale a tanti uomini eccellenti), sulla corruzione e i massacri in Kenya, fino ad arrivare al video sopra citato e agli scoop di queste ultime settimane. Ciò che colpisce, oltre alla naturale reazione dei leader mondiali, è che ora Assange sia ufficialmente e, aggiungerei, improvvisamente ricercato dall’Interpol per “crimini sessuali” (vedi sito Interpol), in particolare per la violenza che due donne avrebbero denunciato di aver subito qualche mese fa in Svezia, uno dei Paesi che ospita i server di WikiLeaks. Da parte sua Assange dichiara che i rapporti erano consensuali e ad oggi non abbiamo motivo per ritenere il contrario. Anzi. È proprio questa “coincidenza”, questa simultaneità temporale a stupire, quasi ci si volesse attaccare a un mero pretesto per mettere a tacere l’uomo che sembra aver preso il posto di Bin Laden, tanto è giudicato pericoloso.

Ma le coincidenze non finiscono qui. Due giorni fa i giornali e i telegiornali aprivano con la notizia dell’elogio del Segretario di Stato americano Hilary Clinton a Berlusconi, definito l’"amico migliore", passato e presente, degli Usa. Il giorno dopo i rapporti segreti degli ultimi due ambasciatori americani di stanza a Roma rivelavano dapprima il sospetto che Berlusconi intrattenesse rapporti privati con Putin e, successivamente, tutta una serie di considerazioni sullo stato di salute del nostro premier. Strano, verrebbe da dire. Sembra davvero che nei rapporti politici e diplomatici si faccia buon viso a cattivo gioco. Che si difenda l’amico, o il presunto tale, per difendere in realtà se stessi, sperando di essere in qualche modo contraccambiati (e perdonati). Ma a spaventare, come si sa, non sono stati i giudizi degli ambasciatori americani sui "big" mondiali. In fondo, cosa ci importa di sapere che Berlusconi è fisicamente provato dai numerosi party a cui partecipa? O cosa ci importa di altri “pettegolezzi” sullo stile di leadership di Sarkozy (descritto come “autoritario e permaloso”) e sulle fobie di Gheddafi? Effettivamente nulla. A spaventare davvero è il potere enorme che in pochi anni ha acquisito WikiLeaks, il fatto che sia sostenuta anche dall’opinione pubblica. Lo dimostra in parte un sondaggio promosso sul sito de L’espresso; pur non trattandosi di un’indagine rappresentativa, la maggioranza dei votanti ha giudicato Assange “un eroe della libertà d'informazione che permette al mondo di sapere la verità”, mentre solo una minoranza ha votato a favore dell’opzione “un irresponsabile pericoloso, un terrorista digitale”. E a questo punto il mio pensiero non può non andare – ancora una volta - a Roberto Saviano e a Vieni via con me. In una delle puntate, non ricordo quale, ci si chiedeva perché dopo Gomorra a Saviano fosse stata emessa una condanna a morte dai Casalesi. Ebbene, una risposta c’è: la mafia non ha paura del libro in sé, ha paura del successo di pubblico e della diffusione che ha avuto. Certo, siamo su piani diversi, ma se dovessi rispondere nuovamente alla domanda su chi è Julian Assange, confermerei la mia opinione, con l’unica riserva, forse, dovuta ai “pettegolezzi” citati in precedenza, dei quali, in fondo, ci importa poco.

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